La funzione comunicativa del packaging
Il ruolo di comunicazione e di distinzione di un prodotto nel mercato, inizia consapevolmente negli anni Trenta in territorio americano. Si tratta in sostanza dell’introduzione di un altro venditore, non a caso in Usa definito “silent salesman”, privo di parola ma in grado ugualmente di comunicare in maniera univoca facendosi capire dai consumatori.
Ma è dopo la seconda Guerra Mondiale che il ruolo del packaging diventa centrale nei nuovi circuiti commerciali mondiali.
Questo accade perché, dopo gli anni ’50, anche in Europa nasce un consumo di massa e quindi un sistema di vendita legato al self service, alla spesa fatta nei supermercati, girando per scaffali alla ricerca dei prodotti.
E i prodotti, per “esistere” nel circuito commerciale, non possono che acquisire una propria “personalità”, che riguarda prima di tutto l’aspetto “fisico”: devono cioè essere confezionati per poter essere esposti negli scaffali.
Ma a questo va legato anche un aspetto “emotivo”: essi devono infatti diversificarsi dai prodotti simili che stanno loro a fianco, devono entrare in sintonia, in “empatia” con il consumatore affinché quest’ultimo scelga loro e non altri.
Infine, e oggi è un elemento sempre più importante, devono poter garantire spazi tali da permettere di scrivere una serie di informazioni sia di legge (dal peso agli ingredienti, dal luogo di produzione alla scadenza) che comunicative (storia di come nasce il prodotto, valori nutrizionali, ecc.).
Quindi il produttore, la merce, il luogo di vendita e gli acquirenti sono diventati i nuovi soggetti del mercato, e a tutti e quattro deve dare risposta il
packaging che, oltre al dialogo diretto da instaurare con il consumatore attirandone costantemente l’attenzione, deve preoccuparsi anche di rispondere alle esigenze di trasporto e ai problemi di immagazzinamento.
Comunicazione e funzionalità
Il packaging rappresenta il modo più importante per creare quella che viene chiamata “identità del prodotto”. Esso infatti racchiude tutte le informazioni utili e significative ed è il primo, e a volte l’unico, veicolo per la sua affermazione.
In un mercato dove ci sono tantissimi prodotti, più o meno simili (se non addirittura uguali), la confezione, la grafica, il marchio, vengono chiamati a creare un’identità, un valore “aggiunto”, una storia distintiva per determinare appartenenza e riconoscibilità.
Negli ultimi anni è stato introdotto il concetto di “storytelling”, aziendale o di prodotto, per indurre appartenenza, “community” attraverso una storia
(legata al prodotto o al produttore). Essa deve spingere su sentimenti semplici e forti (paura, felicità, sorpresa, meraviglia) e deve far leva su valori e ideali condivisi o comunque condivisibili dal proprio target di riferimento. E le prime pubblicità che saltano alla mente come esempio sono quelle della famiglia del Mulino Bianco Barilla, ma anche lavori più
recenti come quelli della Nike.
In ogni caso ricordiamo come questa tecnica sia molto efficace e sempre più utilizzata anche in campi “esterni” a quelli che stiamo trattando, basti
pensare alla politica.
In pubblicità oggi lo storytelling viene sempre più accostato al singolo, oltre che all’impresa: si pensi a Giovanni Rana o Elio Doris e all’utilizzo della loro immagine, prima che della loro storia, per creare coinvolgimento emotivo.
Testo liberamente tratto da “Tecnologie dei processi di produzione” di Ferrara, Ramina.